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Appello Urgente per India e la sua famiglia

AL PRESIDENTE DELLA CONFEDERAZIONE SVIZZERA, ON. IGNAZIO CASSIS
AL CONSIGLIERE DI STATO, ON. RAFFAELE DE ROSA
AL VESCOVO DI LUGANO, SUA ECCELLENZA VALERIO LAZZERI

India non esiste. India vive, ma non esiste. India vive da dieci anni in Ticino, ma per lo Stato non esiste: non è una sua cittadina. Punto. Eppure, non può smettere di respirare, di crescere, di integrarsi nel territorio che, nel frattempo, è diventato casa sua. Ormai conosce meglio l’italiano della sua lingua madre, ha stretto amicizie, va a scuola. Un
unico statuto difatti le è riconosciuto: essere un’allieva, e che allieva! Tutti i docenti la ricordano con affetto, dalle elementari di Biasca alle medie di Pregassona e di Morbio Inferiore. Anche adesso, al Centro professionale commerciale di Chiasso, è considerata un’alunna impegnata e solare.

Tuttavia, una volta terminati gli studi, presto India non esisterà più, così come è successo a suo fratello maggiore Nurhusien, la cui vita è stata privata di tutto: un posto di lavoro (che aveva trovato, avendo terminato con successo il suo apprendistato), gli amici, pure i compagni del calcio…

India, Nur e la loro madre Munaja possono però esistere anche per un’altra ragione: sono delle persone amiche, a cui si vuole bene. Nonostante i traslochi forzati, questa famiglia si è integrata, perché è straordinariamente resiliente e amabile. Tutto l’affetto e la stima nei loro confronti sono stati dimostrati dalla ex docente di classe che aveva lanciato un accorato appello prima di Natale, sperando in un miracolo: il miracolo di una legge che contemplasse l’amore.

Vi scriviamo dunque questa lettera aperta per appellarci a voi: una persona che vive qui in Ticino, con la madre e il fratello, è in pericolo e ha bisogno urgente di aiuto. Avviene dalle nostre parti, non possiamo voltare loro le spalle, non possiamo fare finta di niente.

A questa piccola famiglia, originaria della fascia di confine tra l’Etiopia e l’Eritrea, è stata rifiutata la domanda di asilo, richiesta però che era stata presentata dieci anni fa! India e i suoi familiari non possiedono documenti, di fatto sono apolidi, perché nessuna delle due nazioni li riconosce come loro cittadini. Per la SEM invece sono etiopi e vanno rimpatriati, perché l’Etiopia è considerato un paese sicuro.

In più, in questi giorni, incombe, concretamente, la decisione del rimpatrio forzato, proprio adesso che in Etiopia la violenza del conflitto va dilagandosi e raggiungendo proporzioni inquietanti: l’ONU ha appena lanciato l’allarme, basandosi su testimonianze di torture, stupri di massa, gravi episodi di brutalità contro la popolazione civile.

Tale, dunque, è la procedura: dopo svariati anni in un limbo, una non-vita di attesa, di incertezza, una donna sola con i propri figli avrebbe dovuto bloccare la sua esistenza in modalità stand-by e ora dovrebbe tornare in una nazione, che non la riconosce come cittadina e in cui sarebbe totalmente sradicata, alla mercé di tutti i pericoli, gli incubi da cui coraggiosamente era sfuggita per tentare di offrire ai propri figli una vita migliore. Dov’è la colpa di tutto ciò? Qual è la colpa di India, Munaja e Nur? Se una persona subisce una tragedia, merita di essere aiutata e protetta, sempre: questo dovrebbe essere uno dei capisaldi indiscutibili delle nostre leggi, del nostro Paese, che ospita l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’Alto Commissariato per i diritti umani. Anche grazie alla Dichiarazione universale dei diritti umani, la nostra civiltà si è conquistata dei diritti nel secolo scorso e i nuovi diritti portano con sé l’onere di nuovi doveri.

Lo ha ribadito, con forza e calore, anche Papa Francesco, in visita a Lesbo a inizio dicembre: “il rispetto delle persone e dei diritti umani, specialmente nel continente che non manca di promuoverli nel mondo, dovrebbe essere sempre salvaguardato, e la dignità di ciascuno dovrebbe essere anteposta a tutto. E triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri, per costruire fili spinati. Certo, si comprendono timori e insicurezze, difficoltà e pericoli. Si avvertono stanchezza e frustrazione, acuite dalle crisi economica e pandemica, ma non e alzando barriere che si risolvono i problemi e si migliora la convivenza. E invece unendo le forze per prendersi cura degli altri secondo le reali possibilità di ciascuno e nel rispetto della legalità, sempre mettendo al primo posto il valore insopprimibile della vita di ogni uomo, di ogni donna, di ogni persona.”

Il nostro Paese, il nostro Cantone, dunque, ha i mezzi per ridare umanità a una situazione divenuta disumana: accordare il permesso di dimora, per caso di rigore, a India, alla sua mamma Munaja e a suo fratello Nurhusien. Dare loro la possibilità, finalmente, per cominciare davvero a vivere la vita, senza più nessuna paura. Un gesto nei loro confronti che si iscrive nella nostra Storia e renderebbe realtà il principio fondante che “la forza di un popolo si commisura al benessere dei più deboli dei suoi membri.”

(Preambolo della Costituzione della Confederazione Svizzera).

PRIMI FIRMATARI

Chiara Simoneschi-Cortesi, Fulvio Caccia, Dick Marty, Vasco Pedrina, Remigio Ratti, Marina Carobbio Guscetti, Gabriele Gendotti, Laura Sadis, Maria e Mario Botta, Daniele Finzi Pasca, Mauro Arrigoni, Bruno Balestra, Don Oliviero Bernasconi, Paolo Bernasconi, Maurizio Binaghi, Rocco Bonzanigo, Mario Branda, Renato Bullani, Marco Cameroni, Myriam Caranzano, Aldina Crespi, Masha Dimitri, Nina Dimitri, David Dimitri, Jacques Ducry, Ivo Durisch, Filippo Ferrari, Morena Ferrari-Gamba, Fabio Fumagalli, Silvana Gargiulo, Markus Krienke, Stefano Lappe, Daria Lepori, Luigi Maffezzoli, Roberta Mantegani, MauroMartinoni, Renato Martinoni, Isabella Medici-Arrigoni, Fabio Merlini, Rodolfo Molo, Stefano Montobbio, John Noseda, Lorenza e Giorgio Noseda-Pedrolini, Franco Plutino, Edo Poglia, Matteo Quadranti, Niccolò Raselli, Giò Rezzonico, Lorenzo Rudolf, Paola Solcà, Ulisse Sutter, Nenad Stojanovic, Claudio Valsangiacomo, Nelly Valsangiacomo, Giordano e Nicoletta Zeli Schaub, Giuseppe Zois, Rosa e Marco Züblin. Nicole Agustoni, Maria Grazia Albertini, Brigitte e Beat Allenbach, Benedetto Antonini, Usman Baig, Danilo Baratti, Carola Barchi, Stefano Bazzi, Bruno Bergomi, Michela Bernasconi, Cristina Bettelini Molo, Anna e Mario Biscossa, Beatrice Biscossa, Micol Bonetti, Rosanna Bonetti, Margherita Bredi, Bea Brenni, Paolo Buletti, Yvone Kocherhans e Giovanni Buzzi, Patrizia Candolfi, Maria Casari,Laura e Antonio Carbone Formenti, Rossana Cardani, Giampiero Casagrande, Ileana Castelletti, Lanfranco Casartelli, Marinella e Mauro Cattaneo, Maria Silva e Fabrizio Ceppi, Massimo Chiaruttini, Francesco Chiesa, Federica Colombo-Casiraghi, Luca Confalonieri, Alice Dermitzel, Piergiorgio De Lorenzi, Pierfranco Demaria, Sabrina e Ilmaz Erbagan, Paolo Farina, Alessandra Felicioni Corti, Maria Rosa Ferrari, Cristina Foglia, Danilo Forini, Eleonora Giubilei, Gabriela Giuria, Marco Grandi, Chris Groh, Gea Helle-Balestra, Beatrice e Francesco Hoch-Filli, Jachen Könz, Viola Könz, Gina La Mantia, Madeleine Leemann e Pierluigi Quadri, Thomas Lechleiten, Vittoria Locatelli, Sofia Luraschi Gomez, Ursina Lys, Davide Macullo, Luca Maghetti, Giorgio Mainini, Natalie Maspoli Taylor, Ornella Manzocchi, Cécile Meier, Ludovica Molo, Marco Mona, Marco Morganti, Stefano Mosimann, Lucia Tramer, Giancarlo Nava, Lucio Negri, Patrizia Pelli-Maspoli, Guido Pedroietta, Stefano Pesce, Pia Pagani, Luca Pianca, Carlo Piccardi, Martine Piffaretti, Monica Pilati, Cristiano Polli Cappelli, Roberto Pomari, Sara Plutino Marti, Daniela e Alessandro Pugno-Ghirlanda, Paola Quadri Cardani, Luciano Rigolini, Tecla Riva, Francine Rosenbaum, Clio e Gabriele Rossi, Isabella Rossi, Claudia e Marco Sailer, Anna Sciancalepore, Sharlen Shari Sassi, Antonio Simona, Michea Simona, Amelia Smithers,Francesca Snider, Enrico e Rosilda Solcà-Soares, Gabriellae Fabio Soldini, Simone Schürch, Giovanna Tabet, Dolores e Rosario Talarico, Francesca e Tiziano Tognina Moretti, Guido Tognola, Giovanni Vergani, Luca Visconti, Caterina Wennubst, Elena Wullschleger, Mara e Nicola Wuhlschleger-Ragusa.

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Intersos : “Le isole greche sono l’emblema del fallimento delle politiche migratorie Ue”

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A 70 anni dalla firma della convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, ascoltando le storie di chi da anni è intrappolato sull’isola di Lesbo, di chi ha subito violenze ingiustificabili alle frontiere, o di chi viene ingiustamente separato dai propri familiari, si ha la conferma che non si sia fatto altro che procedere all’indietro rispetto a quell’impegno. E le isole greche ne sono l’ emblema.

A partire da marzo 2016, con la firma dell’accordo tra UE e Turchia e l’inizio della politica degli hotspot, l’Europa ha continuato a bloccare persone vulnerabili ai confini, in campi di detenzione sempre più sovraffollati e inaccettabili in termini di condizioni di vita.

Quando, a settembre 2020, un incendio ha completamente distrutto il campo di Moria, sull’isola di Lesbo, sono state molte le dichiarazioni da parte di membri delle Istituzioni europee che promettevano un cambio di passo e un definitivo abbandono di campi inumani come quello appena bruciato. Così non è stato: è stato costruito invece un secondo campo, il campo temporaneo di Mavrovouni, dove le condizioni di vita dei richiedenti asilo sono sempre le stesse – sovraffollamento, mancanza di servizi igienici, rischio di violenze – e per settembre è prevista la costruzione di un nuovo campo, che l’Europa ha finanziato con 76milioni di euro, e che ospiterà tutti i richiedenti asilo presenti sull’isola, comprese le persone più vulnerabili precedentemente accolte in spazi protetti. Questo nuovo campo sorgerà a ridosso di una discarica, in una zona isolata, priva di servizi esterni al campo e di collegamenti con i centri abitati.

I campi delle Isole Egee sono diventati in sostanza centri di detenzione, dove migliaia di richiedenti asilo sono intrappolati, in attesa – anche per anni – di ricevere un responso, con effetti devastanti sulla loro salute mentale. Sono oltre 5.500 le persone attualmente bloccate sull’isola di Lesbo.

Il nuovo Patto EU sull’asilo e l’immigrazione presentato a settembre 2020, inoltre, non fa intravedere uno spiraglio per il futuro. Alla base delle procedure previste nella proposta, infatti, è chiaro che una reale analisi delle vulnerabilità di chi chiede di entrare in Europa venga ridotta all’osso a favore, invece, di politiche di contenimento e deterrenza attraverso una più rapida elaborazione delle richieste d’asilo e un’intensificazione dei rimpatri.

Già oggi, infatti – come raccontano molte delle donne che Intersos assiste a Lesbo – è frequente che vulnerabilità esistenti non vengano riscontrate, causando anche il rigetto della domanda di asilo. I colloqui di asilo rappresentano la prima occasione per rivelare episodi di violenza ed è fondamentale che siano svolti con la massima attenzione. “Quando donne sopravvissute a violenza ricevono il rigetto della loro domanda di asilo, le loro condizioni possono peggiorare bruscamente”, spiega Clotilde Scolamiero, project manager di Intersos a Lesbo. “Il rifiuto rafforza i loro sentimenti di sfiducia e disperazione, provocando anche pensieri suicidi. Molte di queste donne sono sopravvissute a violenze e torture disumane e sono rimaste intrappolate a Lesbo anche per anni, senza protezione, accesso a servizi adeguati, affette da malattie croniche o flashback ricorrenti della loro esperienza traumatica. Nei campi inoltre continuano ad essere esposte tutti i giorni a violenze”.

Tutto questo viene aggravato dalle leggi nazionali: dal 2020 in Grecia chi ottiene lo status di rifugiato perde il diritto a qualsiasi sussidioeconomico ricevuto fino a quel momento ed è costretto a lasciare la propria sistemazione in accoglienza entro massimo 30 giorni. Chi vede accolta la propria domanda d’asilo, dunque, si ritrova con ancor meno sostegno per avviare un percorso di integrazione e rischia di finire in strada in condizioni di povertà totale.

In ultimo, il 7 giugno scorso, la Grecia ha decretato la Turchia come paese terzo sicuro anche per i richiedenti asilo provenienti da Afghanistan, Pakistan, Bangladesh e Somalia. A Lesbo, il 65% dei richiedenti asilo è di nazionalità afgana e l’8% somala. Questo vuol dire che più di 4.000 persone rischiano di essere deportate in Turchia, un paese dove i loro diritti non verranno rispettati. A coloro che provengono da paesi “non-europei” infatti, la Turchia non riconosce lo status di rifugiato nel rispetto della convenzione di Ginevra, ma uno status “condizionale” che non riconosce alcuni diritti come quello al ricongiungimento familiare.

Fonte: http://www.vita.it/it/article/2021/06/18/intersos-le-isole-greche-sono-lemblema-del-fallimento-delle-politiche-/159726/

Fonte immagine: http://www.vita.it/it/article/2021/06/18/intersos-le-isole-greche-sono-lemblema-del-fallimento-delle-politiche-/159726/


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Rapporto Oxfam sui respingimenti al confine greco

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Cresciuto esponenzialmente dal 2017 il numero di migranti respinti. La drammatica testimonianza di K., rifugiata politica arrestata e poi rispedita in Turchia su una barca insieme ad altre 150 persone. Restano gravissime le condizioni in cui sono costretti a sopravvivere gli oltre 9.300 migranti intrappolati nelle isole greche

In quattro anni sono passati da centinaia a migliaia i casi dei respingimenti illegali al confine greco. Chi decide di parlare viene criminalizzato. A denunciare questo stato di fatto è l’ultimo rapporto da Lesbo pubblicato (il testo rapporto in inglese ) da Oxfam e Greek Council for Refugees (GCR) alla vigilia della Giornata Mondiale del Rifugiato, che fotografa attraverso testimonianze dirette quanto la pratica del respingimento illegale sia comune e diffusa.

La situazione dei migranti intrappolati a Lesbo (oltre 6.300), soprattutto nel campo di Mavrouni ribattezzato Moria 2.0restano disperate: migliaia di minori non vanno a scuola, spesso arrivano da soli e in molti casi vengono trattati come adulti perché passano mesi prima che venga accertata la loro età; oltre 5.500 persone a Moria 2.0 devono fare i conti con la crescita dei contagi da Covid19 che si sono moltiplicati nel mese di maggio, in assenza di assistenza sanitaria e servizi igienici.
«Chi non viene respinto si ritrova a vivere in condizioni disumane, soprattutto donne e bambini», dice Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia«Più della metà dei migranti che si trovavano a Lesbo a inizio giugno erano donne (il 22%) e minori (il 32%), il che significa oltre 1.800 bambini e ragazzi, che per i 2/3 hanno meno di 12 anni e nel 7% dei casi sono arrivati in Grecia da soli».

La storia di K.

«Sono scappata dal mio Paese per non finire in carcere dopo una condanna ingiusta. Ci avrei passato la mia giovinezza tra maltrattamenti e torture» racconta K., una giovane rifugiata politica, fuggita dal suo paese per evitare persecuzioni e torture.
Dopo essere stata arrestata dalle forze dell’ordine in Grecia – nonostante avesse presentato richiesta di asilo – Kè stata trattenuta per quasi un giorno insieme ad altre persone in un vecchio edificio, al freddo senza né acqua né cibo. «Ho capito che ci avrebbero rispedito indietro. Lo fanno sistematicamente, è una prassi consolidata». La storia si conclude infatti con un respingimento: messa su una barca dalle autorità greche, insieme ad altre 150 persone provenienti da Siria e Afghanistan con la sola prospettiva di finire in mano turca o morire.

«Le leggi internazionali, europee e greche stabiliscono il diritto alla richiesta di asilo e impediscono respingimenti senza un esame del caso personale», continua Pezzati.«Siamo di fronte ad una palese e sistematica violazione delle normative e soprattutto dei diritti fondamentali delle persone che raggiungono l’Europa, in cerca di salvezza».

La testimonianza di K. dimostra uno schema che si ripete in decine di casi, confermato anche dall’Obudsman (difensore civico nazionale), secondo cui «ripetuti e costanti respingimenti si registrano sia sulla terraferma a Evros, sia sulle isole dell’Egeo».

Sui respingimenti non si aprono indagini, nemmeno sui casi più eclatanti, quelli in cui i migranti riescono a presentare alle autorità greche la richiesta di asilo e vengono comunque respinte verso la Turchia, senza che sia presa in esame. Il tutto pur trovandosi di fronte a persone che fuggono da Paesi dove conflitti e persecuzioni sono all’ordine del giorno: a inizio giugno la stragrande maggioranza dei migranti intrappolati nel campo di Moria 2.0 proveniva dall’Afghanistan (il 65%), dalla Repubblica Democratica del Congo (l’11%), dalla Somalia (l’8%), dalla Siria (l’8%) e dall’Iran.

Oxfam si appella all’Unione europea e alla Grecia «Incurante delle pressioni e richieste che si moltiplicano a livello nazionale e internazionale, la Grecia continua a respingere i richiedenti asilo o ad accoglierli in condizioni disumane, mentre l’Ue sta a guardare», continua Pezzati. «L’Ue deve invece assicurare che tutti i suoi membri abbiano al loro interno organismi e procedure per indagare sui casi di respingimento illegale, in modo indipendente e con pieno mandato per esaminare le prove.Sapevamo già di questa vergognosa pratica illegale, ma è giunto il momento di chiedere l’istituzione di un’autorità investigativa indipendente, capace di monitorare e intervenire su quanto accade».

Fonte: http://www.vita.it/it/article/2021/06/18/rapporto-oxfam-sui-respingimenti-al-confine-greco/159729/


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Condannate tre guardie di confine

Non avevano chiamato un’ambulanza in relazione all’aborto spontaneo di una donna siriana a Domodossola

La giustizia militare ha condannato tre guardie di confine in relazione all’aborto spontaneo di una donna siriana durante un rinvio in Italia, nel 2014. Secondo i giudici i tre avrebbero dovuto mostrare coraggio civile: sarebbe stato loro dovere chiamare un’ambulanza, anche contro la volontà del loro superiore.

Tre decreti di accusa sono stati emessi dalla giustizia militare, ha confermato oggi, domenica, un portavoce a Keystone-ATS, confermando una notizia pubblicata dalla SonntagsZeitung. Secondo il domenicale i tre sono stati condannati in febbraio e marzo a 30 aliquote giornaliere da 100 a 200 franchi (da 3’000 a 6’000 franchi) ciascuno.

Il capo delle tre guardie di frontiera, un sergente maggiore, era già stato condannato nel 2018. In appello, la pena detentiva per lesioni colpose e ripetuta inosservanza di prescrizioni di servizio era stata ridotta a 150 aliquote giornaliere di 150 franchi con la condizionale.

Fonte: https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insubria/Condannate-tre-guardie-di-confine-14056078.html


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70°anniversario della Convenzione del 1951 sullo statuto dei rifugiati

Nel 2021 ricorre il 70° anniversario dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e della Convenzione del 1951 sullo statuto dei rifugiati.

La Convenzione fu conclusa a Ginevra nel 1951. È entrata in vigore in Svizzera il 21 aprile 1955.

La Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951 costituisce il documento legale fondamentale che sta alla base del lavoro dell’UNHCR. Firmata da 144 Stati contraenti, definisce il termine “rifugiato” e specifica tanto i diritti dei migranti forzati quanto gli obblighi legali degli Stati di proteggerli. Il principio fondamentale è quello del non-refoulement, che afferma che nessun rifugiato può essere respinto verso un Paese in cui la propria vita o libertà potrebbero essere seriamente minacciate. Oggi è ormai considerato una norma di diritto internazionale consuetudinario.

Perché la Convenzione è importante?

È stato il primo vero accordo internazionale che copre gli aspetti più fondamentali della vita di un rifugiato. Ha definito una serie di diritti umani fondamentali che dovrebbero essere almeno equivalenti alle libertà di cui godono i cittadini stranieri che vivono legalmente in un dato paese e in molti casi a quelle dei cittadini di quello stato. Ha riconosciuto la portata internazionale delle crisi dei rifugiati e la necessità della cooperazione internazionale, compresa la condivisione degli oneri tra gli stati, nell’affrontare il problema.

Cosa contiene la Convenzione del 1951?

Definisce il significato del termine “rifugiato”. Delinea i diritti di un rifugiato, tra cui la libertà di religione e di movimento, il diritto al lavoro, all’istruzione e all’accesso ai documenti di viaggio, ma sottolinea anche gli obblighi del rifugiato nei confronti del governo ospitante. Una disposizione chiave stabilisce che i rifugiati non devono essere rimandati, o respinti, in un paese dove temono di essere perseguitati. Essa indica anche le persone o i gruppi di persone che non sono coperti dalla Convenzione.

Cosa contiene il protocollo del 1967?

Rimuove le limitazioni geografiche e temporali scritte nella Convenzione originale, in base alle quali soprattutto gli europei coinvolti in eventi accaduti prima del 1° gennaio 1951, potevano richiedere lo status di rifugiato.

Chi è un rifugiato?

L’articolo 1 della Convenzione definisce il rifugiato come una persona che si trova fuori dal suo paese di nazionalità o di residenza abituale; ha un fondato timore di essere perseguitato a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica; e non può o non vuole avvalersi della protezione di quel paese, o ritornarvi, per paura di essere perseguitato.

Cos’è la protezione?

I governi sono responsabili dell’applicazione delle leggi di un paese. Quando non sono in grado o non vogliono farlo, spesso durante un conflitto o un’agitazione civile, le persone i cui diritti umani fondamentali sono minacciati fuggono dalle loro case, spesso in un altro paese, dove possono essere classificati come rifugiati ed aver garantiti i diritti fondamentali.

Chi protegge i rifugiati?

I governi ospitanti sono i primi responsabili della protezione dei rifugiati e i 140 membri che aderiscono alla Convenzione e/o al Protocollo sono obbligate a metterne in pratica le disposizioni.

La Convenzione è ancora rilevante per il nuovo millennio?

Sì. È stata originariamente adottata per affrontare le conseguenze della seconda guerra mondiale in Europa e le crescenti tensioni politiche tra Est e Ovest. Ma anche se la natura dei conflitti e i modelli di migrazione sono cambiati nei decenni successivi, la Convenzione si è dimostrata notevolmente resistente nell’aiutare a proteggere circa 50 milioni di persone in tutti i tipi di situazioni. Finché persisterà la persecuzione di individui e gruppi, ci sarà bisogno della Convenzione.

Fonte: https://www.unhcr.org/news/stories/2001/6/3b4c06578/frequently-asked-questions-1951-refugee-convention.html

Trovi la Convenzione sullo statuto dei rifugiati al seguente indirizzo: https://www.fedlex.admin.ch/eli/cc/1955/443_461_469/it


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Asilo/ Protezione dalla persecuzione

Qualità di rifugiato

Basandosi sulla Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati, la legge svizzera sull’asilo definisce chi può essere riconosciuto come rifugiato. Secondo queste basi legali sono rifugiati le persone che nel loro Paese di origine sono esposte a seri pregiudizi a causa della loro razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le loro opinioni politiche. Può dunque essere considerato un rifugiato soltanto chi

  • è attualmente esposto a seri pregiudizi o ha fondato timore di esservi esposto in un prossimo futuro,
  • è perseguitato in modo mirato per uno dei motivi di cui sopra,
  • non ottiene protezione dal Paese di origine e
  • non dispone di alcuna possibilità di fuga all’interno del suo Paese di origine.

La procedura d’asilo

La Segreteria di Stato della migrazione esamina in modo individuale e circostanziato ogni domanda d’asilo. Con la più recente modifica della legge sull’asilo, entrata in vigore il 1° marzo 2019, le procedure d’asilo sono state nettamente accelerate. La Svizzera è ora suddivisa in sei regioni procedurali in cui i richiedenti l’asilo sono registrati, le domande d’asilo sono esaminate e le relative procedure sono per lo più concluse.

Dal 12 dicembre 2008 la Svizzera applica anche la procedura Dublino. L’Accordo di associazione a Dublino disciplina la competenza di un determinato Stato Dublino per il trattamento di una domanda d’asilo. Lo Stato competente per il trattamento di una domanda d’asilo è quello in cui è stata presentata la prima domanda.

Fonte: https://www.sem.admin.ch/sem/it/home/asyl/asyl.html

https://youtu.be/YzY8iGF_5Uo?list=PLJ0pOJtH6tfaNXVU2OG9Q_k4fKrxCX_RN

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Asilo: statistica 2020

La pandemia di coronavirus ha provocato un calo della migrazione legata all’asilo: nel 2020 la Svizzera ha registrato 11 041 domande d’asilo, ossia il 22,6 per cento in meno rispetto all’anno precedente. Per il 2021 la Segreteria di Stato della migrazione prevede circa 15 000 (± 1500) nuove domande d’asilo.

Nel 2020 sono state presentate in Svizzera 11 041 domande d’asilo, ossia 3228 in meno che nel 2019. Questa diminuzione va ricondotta in prima linea alle restrizioni di viaggio a livello internazionale a causa del coronavirus.

Principali Paesi di provenienza

Anche nel 2020, il principale Paese di provenienza delle persone che hanno chiesto asilo in Svizzera è stata l’Eritrea con 1917 domande.

Di queste, però, 366 sono imputabili a ricongiungimenti familiari, 1173 a nascite e 167 a domande multiple. Pertanto le nuove domande d’asilo presentate da persone di origine eritrea sono 211.

Gli altri maggiori Paesi di provenienza sono stati l’Afghanistan (1438 domande primarie e 243 domande secondarie), la Turchia (730 domande primarie e 471 secondarie), l’Algeria (973 domande primarie e 15 secondarie) e la Siria (371 domande primarie e 533 secondarie).

Casi liquidati in prima istanza

Nel 2020 la SEM ha liquidato in prima istanza 17 223 domande d’asilo. 5409 persone hanno ottenuto l’asilo, elevando la quota di riconoscimento (concessione dell’asilo) al 33,3 per cento (2019: 31,2%). La quota di protezione (concessione dell’asilo e ammissione provvisoria successivamente a una decisione di prima istanza) è stata pari al 61,8 per cento (2019: 59,3%). La SEM ha inoltre continuato a ridurre il numero di casi pendenti in prima istanza. Il numero di casi pendenti da trattare secondo la vecchia legge è stato ridotto di 5189 unità per attestarsi a 425 casi. Alla fine dell’anno vi erano ancora 3852 casi di asilo pendenti in prima istanza, il che corrisponde al livello più basso dall’introduzione dell’attuale metodo di rilevazione nel 1994.

Nel 2020, 1051 persone hanno lasciato volontariamente la Svizzera (2019: 1631). 1518 persone sono state allontanate verso il loro Paese d’origine o verso un Paese terzo (2019: 2985) e 715 verso uno Stato Dublino (2019: 1521). Il calo del numero di partenze è una conseguenza della pandemia di COVID-19 e delle restrizioni dell’entrata e del traffico aereo che ne conseguono.

Reinsediamento

Il 29 maggio 2019 il Consiglio federale ha adottato un piano di attuazione del programma di reinsediamento, che prevede il proseguimento della politica della Svizzera in questo settore. In virtù di questo piano il Consiglio federale deve stabilire su base biennale un contingente esatto di persone da reinsediare, oscillante di volta in volta tra 1500 e 2000 rifugiati. Per il periodo 2020-2022 questo contingente è di al massimo 1600 rifugiati particolarmente vulnerabili. Nel 2020 l’attuazione del programma è stata fortemente condizionata dalle restrizioni d’entrata legate al coronavirus – le entrate sono state interamente sospese durante parecchi mesi. Nel 2020 nel contesto del reinsediamento sono state accolte 330 persone.

Dublino

Nel 2020 la Svizzera ha accolto 70 richiedenti l’asilo minorenni non accompagnati (RMNA) giunti direttamente da campi profughi greci. Questi RMNA avevano tutti dei parenti in Svizzera e hanno potuto ottenere la protezione del nostro Paese nel quadro del regolamento Dublino III. Accogliendo una ventina di bambini e ragazzi, la Svizzera ha inoltre partecipato all’operazione coordinata a livello europeo per l’evacuazione di 400 minorenni dopo l’incendio nel campo profughi di Moria, sull’isola greca di Lesbo.

Domande d’asilo: prospettive per il 2021

Sulla base degli sviluppi più probabili per il 2021, la SEM prevede per l’anno corrente circa 15 000 (± 1500) nuove domande d’asilo. Alla luce dei numerosi focolai di crisi e di conflitti in Medio Oriente e sul continente africano, il potenziale migratorio resta elevato; non si può pertanto escludere un nuovo aumento delle domande d’asilo nel 2021, ma al tempo stesso non si può nemmeno escludere un nuovo calo dovuto alle misure per contenere i contagi da COVID-19.

Fonte: https://www.sem.admin.ch/sem/it/home/sem/medien/mm.msg-id-82180.html


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Ong: basta rimpatri forzati dalla Svizzera all’Etiopia

Il 27 gennaio 2021 la Segreteria di Stato della migrazione avrebbe organizzato un volo per Addis Abeba con cinque richiedenti asilo a bordo. Ma la violenza etnica continua

Diverse Ong chiedono la fine immediata dei rimpatri forzati dalla Svizzera all’Etiopia. Il 27 gennaio, stando a un comunicato della sezione vodese della Lega svizzera per i diritti umani, la Segreteria di Stato della migrazione (Sem) ha organizzato un volo per Addis Abeba con cinque richiedenti asilo a bordo.

La situazione in Etiopia è però considerata particolarmente precaria da molte organizzazioni non governative come Amnesty International o l’Organizzazione svizzera aiuto ai rifugiati (OSAR), ricorda la Lega. Le espulsioni verso un Paese in preda alla violenza etnica mettono in pericolo l’integrità dei migranti, si legge ancora nella nota che chiede di rivedere l’accordo di riammissione firmato nel 2018 tra Svizzera e Etiopia.

Fonte:

https://www.laregione.ch/svizzera/svizzera/1489256/svizzera-etiopia-ong-rimpatri-stato


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Bosnia Erzegovina, la disperazione lungo la rotta balcanica: “Sto impazzendo dal freddo”, “Non si può più aspettare”

Situazione disumana al campo di Lipa, nel Nord-Ovest del Paese. Abbondanti nella neve con temperature a -10°C. A rischio la vita di profughi in condizioni estreme.

Si aggrava sempre di più, anche per il peggioramento delle condizioni meteorologiche, l’emergenza umanitaria per i migranti bloccati in una situazione disumana al campo di Lipa, nel Nord-Ovest della Bosnia e Erzegovina. Abbondanti nevicate e temperature che scendono fino a -10°C mettono a rischio la vita di circa 900 persone che vivono nell’insediamento in condizioni estreme. Ad oggi, infatti, sono state montate, da parte dell’esercito bosniaco, solamente una dozzina di tende non ancora riscaldate che danno riparo notturno a circa metà di queste persone. L’altra metà continua a dormire in rifugi improvvisati. Le condizioni igieniche sono disastrose, dal momento che mancano completamente i servizi igienici, l’acqua potabile e un sistema fognario. Non ci sono nemmeno i collegamenti elettrici, le strade di accesso al campo sono ghiacciate e difficilmente percorribili, e l’altopiano di Lipa è di fatto isolato.

“Fa troppo freddo, sto impazzendo” è il disperato grido di aiuto di Ali, uno degli ospiti del campo proveniente dal Pakistan. Monsignor Komarica, vescovo di Banja Luka ha lanciato un appello chiedendo a tutti i rappresentanti politici che possono prendere decisioni di “lavorare insieme, con l’aiuto materiale della comunità internazionale, per risolvere questa catastrofe umanitaria in modo positivo ed efficace, il prima possibile”.

Incomprensibile la scelta del governo bosniaco. Rimane difficile comprendere la decisione del governo della Bosnia e Erzegovina di trasformare Lipa in un campo permanente pur sapendo che serviranno molte settimane per raggiungere degli standard minimi di sicurezza, e il rifiuto di ricollocare i migranti in strutture più pronte e più adatte all’inverno a seguito anche delle forti proteste delle comunità locali interessate. Anche l’Unione Europea chiede che a Lipa vengano rispettati i diritti umani ed ha stanziato nuovi fondi, oltre quelli già messi a disposizione, per poter migliorare le condizioni del campo, ma senza un esito concreto immediato.

Fermare la prassi dei respingimenti. Si rende così necessario far cessare le prassi di respingimenti violenti sulla frontiera bosniaco-croata e ridiscutere le procedure e le politiche migratorie del Paese e della regione, per sviluppare un sistema che tuteli maggiormente la vita e i diritti delle persone in transito o dei richiedenti asilo, procedure più snelle e sicure per il transito verso l’Unione Europea dei migranti, soprattutto di quelli in condizioni più vulnerabili, anche grazie a nuovi corridoi umanitari. Le persone in transito lungo la Rotta Balcanica sono infatti spesso in fuga da scenari di guerra e persecuzione, ed hanno pieno diritto alla protezione internazionale lungo il proprio percorso migratorio.

Fonte: https://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2021/01/15/news/bosnia_erzegovina-282671850/


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Asilo: revoca dell’ammissione provvisoria

In una sentenza di principio1, il Tribunale amministrativo federale stabilisce che in caso di revoca dell’ammissione provvisoria la Segreteria di Stato della migrazione deve sempre applicare il principio di proporzionalità. Constata inoltre che nel corso degli anni l’ammissione provvisoria ha subito considerevoli adeguamenti legislativi intesi a migliorare lo statuto delle persone ammesse a questo titolo.

La Segreteria di Stato della migrazione (SEM) verifica periodicamente se le condizioni per l’ammissione provvisoria sono ancora soddisfatte; se questi presupposti non sono più adempiuti, revoca l’ammissione provvisoria e ordina l’esecuzione dell’allontanamento. Per costante giurisprudenza, l’ammissione provvisoria può essere revocata, in linea di massima, soltanto se l’esecuzione dell’allontanamento è lecita, se il cittadino straniero interessato ha la possibilità di trasferirsi in uno Stato terzo o di rientrare nel suo Paese d’origine o nell’ultimo Paese di residenza e se l’allontanamento è ragionevolmente esigibile. Tocca dunque all’autorità competente verificare che queste tre condizioni siano cumulativamente adempiute. Dopo aver esaminato il sussistere di queste condizioni, la SEM deve ancora soppesare gli interessi privati e pubblici in presenza.

Costante evoluzione
Nella sua sentenza di principio, il Tribunale amministrativo federale (TAF) ripercorre l’evoluzione dell’istituto dell’ammissione provvisoria, la quale conferisce viepiù prerogative e sottolinea che l’esame al quale la SEM deve procedere in caso di revoca di tale statuto differisce da quello da effettuarsi al momento della concessione. Difatti, la perdita del beneficio dell’ammissione provvisoria, che dal punto di vista del diritto di soggiorno può aver costituito la base per la pianificazione del proprio futuro, può comportare cambiamenti incisivi nella situazione di persone che soggiornano legalmente da molti anni. Su questi presupposti, il Tribunale ha sancito che il principio di proporzionalità, già applicabile in materia di revoca dei permessi di soggiorno, deve essere considerato anche nelle procedure di revoca dell’ammissione provvisoria ai sensi dell’articolo 84 capoverso 2 della legge federale sugli stranieri e la loro integrazione (LStrI).

Applicazione del principio di proporzionalità nella fattispecie
Nella fattispecie, dopo aver soppesato i sussistenti interessi, il Tribunale ha ritenuto che l’ammissione provvisoria non deve essere revocata, considerati in particolare l’età dell’interessato, la durata del suo soggiorno nel nostro Paese, il suo livello di integrazione e il fatto che è incensurato e non è oggetto di procedure esecutive né di atti di carenza di beni.

Questa sentenza è definitiva e pertanto non può essere impugnata dinanzi al Tribunale federale.

Fonte: https://www.bvger.ch/bvger/it/home/media/medienmitteilungen-2020/asylurteilzuraufhebungdervorlaufigenaufnahme.html


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